Fuga dall’Afghanistan

La via verso la libertà in un messaggio via mail

Zamarod Khademi è una ragazza di 27 anni che in una notte ha visto la sua vita cambiare irreparabilmente. È nata in Afghanistan ma ha vissuto un pezzo della sua infanzia in Iran, dove ha studiato per cinque anni e ha iniziato ad appassionarsi al ciclismo, fino a entrare in una squadra locale.

All’età di 10 anni, in seguito a una malattia di suo padre, insieme alla sua famiglia è ritornata in Afghanistan, dove ha ripreso gli studi. Dopo le scuole superiori, si è laureata in Sociologia: «Studiando questa materia – racconta -, mi sono resa conto dei miei poteri e dei miei diritti. La Sociologia ha cambiato la mia visione». Dopo la laurea, ha trovato subito un lavoro negli uffici comunali di una città vicina. Doveva spostarsi spesso per andare a lavorare, in un Paese in cui non tutte le donne sono autorizzate a farlo. Spetta alla famiglia, e in particolare al padre, prendere una decisione tanto importante per la vita quotidiana delle ragazze. «Avevo tanta libertà rispetto ad altre coetanee. Ho lavorato e amato profondamente il mio mestiere, ma purtroppo è durato soltanto un anno, perché nella notte del 15 agosto 2021 è cambiato tutto». La data è quella della caduta di Kabul, capitale dell’Afghanistan, per mano dei Talebani, al culmine di un’offensiva militare che era iniziata nel maggio 2021.

Per Zamarod e la sua famiglia è l’inizio di un periodo di fuga e terrore. Prima il trasferimento in montagna per una settimana poi, una volta finite le scorte alimentari, il rientro a casa. Una mattina, prima di andare in ufficio, Zamarod riceve una telefonata: «Era un talebano che mi diceva che non sarei più potuta ritornare al lavoro». Il giorno stesso Zamarod parte per Kabul con suo fratello: «C’erano folle di persone che andavano verso l’aeroporto, li seguimmo, non potevo pensare di rimanere lì. Siamo rimasti lì in attesa per due notti, ci fu anche un bombardamento». Inizia un balletto di telefonate ed e-mail per cercare di lasciare l’Afghanistan, ma sembra impossibile. Finché un giorno, nella casella di posta elettronica di Zamarod, c’è il messaggio di una compagna di ciclismo americana, incontrata qualche anno prima, che voleva aiutarla, le chiedeva i documenti e si rendeva disponibile a pagarle il viaggio in Italia. Serviva l’autorizzazione della famiglia, che arrivò in una frase: «Se riesce a uscire anche soltanto una persona della nostra famiglia, abbiamo salvato una vita». Dopo sei mesi, insieme ad altre tre ragazze, Zamarod parte per il Pakistan. Un viaggio difficile e pericoloso: «A un controllo dissi che dovevo andare dal medico e che dovevo raggiungere mio marito in Iran». Arrivata in Pakistan, trascorre un anno prima della partenza. Il 27 luglio, insieme ad altre trecento persone, è sull’aereo per Roma.

«In Italia mi sono tinta i capelli per fare i documenti poiché i Talebani continuavano a cercarmi. Sono stata trasferita a L’Aquila in un campo per rifugiati e ho iniziato a studiare per imparare la lingua e inserirmi. Ho fatto anche due gare in bici, una in Svizzera e una ad Ancona. Poi mi sono trasferita nel nord Italia: qui ci sono più opportunità di lavoro. Ora sto frequentando un corso per Operatrice socio sanitaria, ma il mio sogno è riuscire a studiare per diventare infermiera».

Jasmine Zaoui, Giada Darò, Manuel Lupo, Carlo Costan, Anna Calvelli