La psicologa
Violenza nei videogiochi: è più il rischio del ritiro sociale
Martina Comollo è una psicologa psicoterapeuta che nel suo percorso professionale si occupa spesso di adolescenti. A lei abbiamo chiesto se esiste una correlazione tra videogiochi e violenza. «La letteratura scientifica è molto controversa sul tema – ha detto -. Le prime ricerche erano volte a dimostrare una certa correlazione tra esposizione ai videogiochi violenti e comportamenti aggressivi. Secondo Anderson, basandosi sugli esperimenti di Bandura, l’esposizione a contenuti violenti unita a forte immedesimazione che il videogioco suscita può rappresentare per i fruitori un importante modello di comportamento da imitare, sostenuto oltretutto dalle gratificazioni ottenute nel videogame. Altre ricerche, più recenti, su gamers che giocano quotidianamente da diversi anni a videogiochi con alto tasso di violenza come “Call of Duty” hanno mostrato che i videogiocatori hanno mostrato livelli di empatia pari al gruppo di controllo (non videogiocatori). Questo per dire che non esiste in letteratura una dimostrazione netta di causa-effetto o correlazione certa tra esposizione ai videogiochi e aggressività agita». Alcuni autori hanno rilevato invece effetti positivi dei videogiochi (in generale, non solo violenti) sulle persone: «Aumento delle capacità visuo-spaziali, del problem solving… Nella mia esperienza clinica – ha aggiunto -, non è il videogioco di per sé potenzialmente pericoloso, ma l’uso e abuso che ne viene fatto».
Ci sono fasce d’età maggiormente a rischio? «Naturalmente ci sono limiti di età che non possono essere ignorati: un bambino di sei anni non è mentalmente pronto a giocare o assistere a una partita di GTA, così come andrebbe protetto da contenuti video violenti di guerre, stragi e omicidi a cui può accedere se segue un telegiornale. Al contrario, giocare a videogiochi adeguati per l’età può essere una sublimazione dell’aggressività anche molto funzionale. È l’uso intensivo, quotidiano, di diverse ore al giorno, che impedisce altre attività o che è l’unico modo di confrontarsi con il mondo esterno e con i pari che rappresenta un pericoloso modo di usare i videogiochi. Perché è il prodromo di un ritiro sociale, di un blocco evolutivo, di isolamento e disinvestimento dalla vita».
Il grande rischio dei videogiochi in questo caso è che diventino un mondo parallelo in cui rifugiarsi perché qualcosa nella realtà non funziona, «allora più che demonizzare il videogioco è importante capire quale fallimento o blocco nella vita reale ha portato alla fuga».
Il cellulare e i piccoli schermi non consentono una corretta igiene del sonno, «attivano la produzione di adrenalina che è grande nemica del sonno. Inoltre i giochi di guerra, inseguimento, azione possono attivare il corpo e la mente in maniera molto intensa, far sentire molto agitati, avere la tachicardia e i sensi allarmati proprio come un’esperienza vissuta nel mondo reale, come può essere una partita al laser game, una gara in moto o altro».
La strategia di intervento per i casi di ritiro è quella della relazione, «creare quella rete di risorse e relazioni significative di cura la cui mancanza ha portato al rifugio illusorio nel videogioco. La mia esperienza clinica rivela che la prima fonte di esposizione alla violenza non è data tanto dai videogiochi. I dati di ricerca indicano che la famiglia e le relazioni significative sono il luogo più a rischio per quanto riguarda la violenza psicologica, fisica, relazionale o economica».
Rebecca Moreira Ramos, Carlo Costan, Manuel Lupo, Giulia Galfione